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Opportunità mancate

 

Avenida Santa Fé "Libertad plaza café bar
Avenida Santa Fé “Libertad plaza café bar

 

Via XX settembre già via della Ghiara (Ghiara = ghiaia recuperata dal letto del fiume.
Via XX settembre già via della Ghiara (Ghiara = ghiaia recuperata dal letto del fiume.

 

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Avenida Santa Fé

 

Università di Ferrara
Palazzo “Renata di Francia” Sede dell’Università di Ferrara

 

IL VICERETTORE DELLA UNIVERSIDAD ABIERDA INTERAMERICANA

DI BUENOS AIRES A FERRARA

 

Non è comune incontrare un professore di 81 anni che abbia la lucidità, la forza e l’entusiasmo di uno giovane ricercatore appena laureato. Questo era il Dottor Francisco Guillermo Esteban, vice rettore della Universidad Abierda Interamericana (UAI) con sede in Buenos Aires, quando lo conobbi per la prima volta a Ferrara. Da allora, sono trascorsi sei anni. Ci siamo rivisti in altre occasioni ma sempre a Buenos Aires. Tra un congresso e l’altro, era di passaggio e voleva conoscere Ferrara. Accompagnato dal figlio docente di sociologia, facemmo casualmente amicizia e mi sentii ben felice di accompagnarli in una visita che si concluse con un progetto di gemellaggio con l’Università di Ferrara. Allora era rettore il Dottor Patrizio Bianchi. Il tema delle nostre escursioni si può sintetizzare nel significato sociopolitico della città in se, catalizzatrice di interessi e promotrice di sviluppi economici condizionati. Ferrara ne era una evidente testimonianza per la sua involuzione. Da ricca economia mercantile comunale a ciclica economia agricola della signoria, sia per motivi morfologici che politici. Ci trasferimmo a Venezia, dove sarei potuto essere utile avendovi in gioventù compiuti gli  studi, per poi tornare di nuovo a Ferrara. L’ultima volta che ci siamo rivisti è stato a Buenos Aires, durante il congresso del Consorzio Universitario Italo Argentino (CUIA) nel 2012. Ci salutammo dopo aver preso un cafè al “Libertad Plaza cafe bar” in Avenida Santa Fè. Era oramai sera. Presi il bus 59 per tornare a Plaza Italia. Luoghi magici al pari dell’adagio sostenuto, del concerto per piano in C minore, op. 18  di Rachmaninov che, a suo tempo, gustammo assieme a Venezia. Non ci siamo più sentiti. Mi auguro di incontrarlo al mio prossimo viaggio in Argentina.

 

Tra Borso d’Este ed Ercole I° d’Este vi è un legame che ci riconduce all’urbanizzazione dell’area attorno a via Ghiara. Ambedue avevano individuato taluni elementi socioeconomici legati all’edificazione di un nuovo quartiere in quell’area abbandonata dal Po. Il quartiere così detto delle ambasciate. Lo sviluppo di una economia dipendente dall’edilizia attorno alla quale roteavano interessi di tutti i generi. Ma fu con l’addizione Erculea che si sviluppò una nuova categoria pesudo imprenditoriale legata a doppio filo con la corte. Architetti, committenti, finanziatori, faccendieri, amministratori di corte, costruttori, corruttori e corrotti, ecc. ecc. Se la vecchia aristocrazia, accettando il lati fondo donatogli dagli Estensi aveva abbandonato il mondo mercantile lasciandosi avvinghiare dalla rete dell’economia agricola, allo steso modo fu in parte sostituita da una nuova borghesia e da una aristocrazia “minore” che dipendevano totalmente dalle committenze di corte. In ambo i casi vi era una autentica sudditanza politico economica verso la corte. Ferrara nel 1152 aveva iniziato il suo declino economico con la rotta del Po che da lì a pochi anni avrebbe ritirato le proprie acque a sud della città. Nonostante gli sforzi, fino a Ercole II°  d’Este, Ferrara ebbe perduto il suo porto fluviale ed i commerci ad esso legati. La domanda che mi ripeteva Francisco era “Perché la città?”. Io mi rifacevo alle differenze antropologiche tra nomadi e stanziali e lui, sorridendo mi accennava all’importanza degli strumenti finanziari quali la cambiale inventata a Firenze. Si riconduceva sempre a San Gimignano come esempio di struttura urbanistica medioevale da prendere in considerazione. Lui, nativo di San Luis, alla sua età era ancora alla ricerca di quei riscontri che solo nei nostri borghi era possibile rintracciare. Da lui ho riscoprii il piacere dell’indagine scientifica, assopitosa nella quotidianità delle cose. Visitammo tutte le addizioni urbanistiche di Ferrara, per concludere con il quartiere dell’Acquedotto. Un escursus che potrebbe interessare a molti. Un itinerario turistico dal “Castrum Bizantino” alle ville Liberty di Viale Cavour. Ogni prodotto ha i propri acquirenti. Bisogna attirarli. Questa città difficilmente diverrà un prodotto per un consumo di massa, se non cambieranno gli orizzonti dei propri cittadini.

Arte contemporanea tra Ferrara e Città del Messico

 

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Presentazione del libro "La Pedagogia de lo cotidiano" presso la sala dell'Arengo, Palazzo Ducale, Ferrara.
Presentazione del libro “La Pedagogia de lo cotidiano” presso la sala dell’Arengo, Palazzo Ducale, Ferrara.

 

Primero Rivas Luis Eduardo
Primero Rivas Luis Eduardo

 

DAL MESSICO LA PEDAGOGIA DE LO COTIDIANO

Accompagnare in una visita guidata un filosofo, in particolare specializzato in educazione, sembrerebbe di una accentuata difficoltà, soprattutto comunicativa. Nella realtà tutto si semplifica perché è la cultura, è l’esperienza della riflessione filosofica che appiana ogni divergenza. Nel momento in cui i temi storico filosofici iniziano ad evidenziarsi sulle pareti affrescate, sui capitelli, gli archi a tutto sesto, gli ostacoli si superano assieme, perché, se non lo sapete, l’educatore è anche “colui che ti prende per mano”. L’Università di Ferrara, come tutte le università, è una fucina di idee che prendono forma per poi evolversi in teorie che solo con l’avvallo della comunità scientifica potranno avere un senso, un loro valore scientifico. La sede dell’Università di Ferrara è a Palazzo Renata di Francia, in via Savonarola. Quanti di Ferrara saranno mai entrati al suo interno? Qualcuno, forse da bambino, avrà attraversato il retrostante parco Pareschi, ma quanti sono entrati per osservare un solo momento il suo porticato?  Questi edifici sono i nostri “documenti” più importanti in quanto testimoniano direttamente le origini del nostro vivere quotidiano. Come la Sala dell’Arengo all’interno del Palazzo Ducale, proprio in quella ala ricostruita tra le due guerre. Essa rimane una evidente testimonianza di un preciso momento storico. La storia non si cancella. Non vi è una sola disciplina filosofica che avvalli la cancellazione del passato. Abbattere i simboli di un regime politico o di una religione è di una stupidità incommensurabile. Ciò che siamo stati, resta. Inutile nascondere o distruggerne le prove.

 

Accompagnai attraverso Ferrara per diversi giorni l’amico Primero Rivas Luis Eduardo, ordinario di Filosofia presso l’Università di Città del Messico, creatore della “Pedagogia del quotidiano”.  Uomo di cultura, intellettuale raffinatissimo, di una semplicità disarmante, durante le nostre conversazioni riuscì a coniugare perfettamente, il nostro senso estetico rinascimentale con il modernismo e le nuove forme di  comunicazione estetica contemporanea latino americana, seguendo il percorso pedagogico educativo, come modello interpretativo antropologico ed etnografico della pittura e della fotografia contemporanea messicana. In breve, a creare le condizioni per una ricerca dei punti di tangenza del senso dell’educazione estetica tra noi  ed il nuovo mondo. Mia moglie ed io, avevamo lasciato in dote a nostra figlia un quadro di Cervantes, che con il suo barocco contemporaneo ci aveva affascinati.  Partendo dal quadro iper surrealista dello Cervantes, verificai come le influenze di pittura pre colombiana continuavano ad educare, influenzando i pittori messicani, soprattutto quelli dei murales. Organizzai assieme a mia moglie la presentazione dal suo libro “La pedagogia de lo cotidiano”. Il luogo d’incontro perfetto per ricreare una dialettica estetica contemporanea fu o la sala dell’Arengo, affrescata tra il ’34 e ’38 da Achille Funi, con la collaborazione di Felicita Frai. A Primero piacque. Al suo fianco fungevo da interprete mentre lui precisava i punti della sua pubblicazione. Non mancarono i richiami alla funzione pedagogica dell’estetica, ponendo l’accento sui casi delle ville Liberty di Ferrara, della sala dell’Arengo, del centro di Tresigallo. Essere stato sia guida che accompagnatore di Primero Rivas è stato per me, non un frangente professionale ma un privilegio personale. Ferrara, mi ha regalato anche questa opportunità. Tra gli itinerari che propongo ho anche quello d’arte contemporanea sulle tracce che vanno dall’urbanistica, all’architettura alla pittura. Da Nervi a De Pisis qui abbiamo testimonianze di prima mano. Ferrara contemporanea è una chicca.

antonio.greci@gmail.com

 

In maggiolone da Paranaguà ad Asuncion

 

Paranaguà

Paranaguà

 

Curitiba
Curitiba

 

Cascavel
Cascavel

 

Ciudad del este
Ciudad del Este
Coronel Oviedo
Coronel Oviedo
Asuncion
Asuncion

 

 

In maggiolone da Paranaguà ad Asuncion

Adoro Paranaguà in Brasile. Il suo centro storico in stile coloniale, i profumi, i colori, la musica. Adoro il Brasile da capo a piedi. Noi conosciamo ben poco di questo paese, di questo gigante. Oggi ci propinano la delinquenza, la povertà, ecc. ecc. E’ tutto vero, ma c’è anche dell’altro. Appena ti sposti dalle megalopoli, entri in un’ altra dimensione. Non che la delinquenza scompaia, è sempre lì in agguato, ma è diversa, forse più riconoscibile. 32 anni fa, per me che avevo 32 anni in meno, era il mio Brasile. Il malintenzionato lo identificavo subito dallo sguardo, dalla postura, dai movimenti. Se possedevi qualcosa di appetibile, eri un sicuro bersaglio. Questo allora come oggi, era ed è certo. D’altronde devi essere proprio un “boludo” se pretendi di girare inosservato in un quartiere sudamericano mentre sfoggi un qualcosa di oro o una paio di scarpe alla moda. La miseria non guarda in faccia a nessuno. Rispetta solo il più forte o il camaleonte che meglio sa mimetizzarsi. Morale, meno ti fai notare, meglio è.

Un amico, agente marittimo nonché agente di viaggio di Paranaguà, mi chiese se ero disposto ad accompagnare due americani ed un canadese da Paranaguà ad Asuncion in Paraguay, in auto. Da lì sarei disceso da solo fino a Rosario, in Argentina. Tre giornalisti, “gringos” su un “maggiolone”, per di più giallo limone con i parafanghi bianco avorio. Si fa per dire bianco. Circa 1200 chilometri, una ventina di ore, salvo imprevisti. Partimmo all’alba, attraversammo Curitiba, e Cascavel. A Ciudad del Este ci fermammo a riposare. Fortunatamente niente alcool, solo Coca Cola e foto. Raggiungemmo Coronel Oviedo ed infine Asuncion dove lasciammo l’auto nel posteggio del “rent car” ed andammo a dormire in albergo. Avevamo impiegato, se ben ricordo, 28 ore. Fui pagato in contanti, dollari ovviamente. Il giorno seguente ci sarebbe stata una importante manifestazione. Suggerii di non girare con le macchine fotografiche. Prima di partire i “gringos” mi fermarono. La polizia aveva sequestrato le macchine fotografiche per “motivi di sicurezza”. Andammo a cambiare i loro “travel cheques” in moneta locale. Riscattammo le macchine fotografiche direttamente dalla pattuglia che mezz’ora prima le aveva sequestrate. Tranquilli, erano rimasti lì affianco alla loro vettura a controllare il traffico. Fummo fortunati perché “le coincidenze avevano coinciso”. Finalmente presi il bus per Rosario. Morale: puoi attraversare trasversalmente un paese, entrare in un altro e poi farti fregare da chi meno te lo aspetti. Mai programmare in latino america. Quando iniziai ad accompagnare i primi gruppi, spiegavo bene le regole, poi, come si dice: l’uomo propone e Dio dispone. Oggi molto è cambiato ma sembra che i “boludos” seguitano ad imperversare.

 

 

Un brindisi al “Brindisi”

 

Ferrara Brindisi

 

Los periodistas españoles

 Dedicato a Marco Bozzer, friulano, bolognese, ferarese, catalano, ecc. ecc. giornalista free …. ecc. ecc. ………

 Il più delle volte presentare una città o parte di essa, a dei giornalisti è un poco come camminare sulle uova. Non sai mai chi sono e quali sono le loro reali aspettative. Il committente ti dà un itinerario generico, ti dice quanto tempo hai a disposizione e via così. Ti affidi sempre alla intelligenza e lungimiranza del cliente “cronista”. Sì perché, chi scrive è perfettamente consapevole che tutto verte nelle prospettive del lettore. Di giornalisti e scrittori ne ho accompagnati a iosa e alla fine mi sono sempre ritrovato con degli amici con i quali brindare in un bar. Confesso che ho un debole per gli spagnoli. Io sono di nazionalità italiana, ma mi sento cittadino del mondo e questo sin da piccolo. Con gli spagnoli m’intendo con una semplice “mirada”. Sarà la mescola delle loro diverse culture, le loro accentuate differenziazioni, la loro educazione, la semplice concreta direttività. Insomma con uno spagnolo mi sento come a casa mia, come se ci conoscessimo da sempre. Uomo o donna che sia non importa, perché, in definitiva, e questo è ciò che più mi piace, lo spagnolo è capace di mandarti a quel paese con una semplice “mirada”.

 

Pochi giorni fa, ho “guidato” un gruppo di giornalisti spagnoli che dovevano scrivere di Ferrara, della città rinascimentale, della gastronomia ferrarese. Credo che la chiave di volta del successo della guida sia stata comprendere l’importanza dell’immagine che questi professionisti dovevano trasmettere ai loro lettori. La fortuna ha voluto che il pomeriggio fosse assolato, il cielo limpido, i colori meravigliosamente nitidi. I giorni precedenti era sempre piovuto. Avevano macchine fotografiche professionali e non. Corso Ercole I°, Porta degli Angeli, la Certosa, Piazza Ariostea, e via così. Ferrara dialogava con luce risaltando quelle dolcissime sfumature tra il verde degli alberi e il rosso del cotto ferrarese. Non era necessario illustrare nulla, la città parlava da se. Alla fine ci ritrovammo in un bar del centro per l’aperitivo. Arrivarono le autorità, il vice sindaco e la rappresentante della Provincia. Fortunatamente Massimo, il vice sindaco, palato fine della cinematografia (non per nulla laureato in cinematografia), dopo una mia breve “antologica” descrizione dell’itinerario percorso, riprese gli stessi argomenti amplificandoli sul piano cinematografico. Era il piacere di sintonizzarsi sulla stessa frequenza d’onda. Iniziò a fare freddo, due dei giornalisti si ritirarono in albergo, altri tre no. “Antonio, pero ahora nos llebas a tomar como se toma aquì, no cierto? ” Le Parole di Carmen, Pascual e Marco, risultarono musica per le mie orecchie. Andammo al “Brindisi” in via Adelardi. Lo chef, che avevo contattato al mattino, offrì del meraviglioso vinello accompagnato dai tipici salumi ferraresi. Così, in piedi, informalmente e in allegria. Foto al locale ed alla via. Ci salutammo davanti all’Annunziata.  Ci siamo scritti. Mi hanno inviato una foto del nostro commiato etilico. Mi considerano un loro referente. Marco, ha capito tutto. Ciao Marco, al prossimo brindisi.

 

 

Tra giardino e teatro. Scenografie di un affresco

 

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LA  TEATRALIZZAZIONE  DEL GIARDINO

…”…in sintesi, il giardino nel rinascimento rappresenterà un ideale di corte che si tramuterà in breve tempo in scena boschereccia e di conseguenza, sfondo teatrale pastorale. Un “ideale”, una “visione”, drammaturgica, scenografica e simbolica che si evolverà in continuità. Una metamorfosi costante che permarrà fino al ‘600. Nel tempo, l’elaborazione, dei linguaggi e delle culture classicista e romanza, contribuirà alla  nascita del teatro detto “all’italiana”. Un rinnovamento che va dalle tecniche recitative, alla scenografia, alla realizzazione della triade drammaturgica : commedia, tragedia, pastorale. L’ambientazione sarà il bosco, i soggetti cavalleresco erotici si confronteranno con pastori, dei, miti, con un linguaggio aulico patetico con inflessioni realistico rusticali. …”…

Accompagnare un regista  di teatro risulta impegnativo fino a quando non si apprende ad ascoltarlo. Nel mio caso, il suo bisogno di una interpretazione personale ed alternativa, divenne vincente per l’escursione in se. Ne conseguì che il comprendere le sue motivazioni fu la chiave per trasformare un grigio e triste pomeriggio d’inverno, in una divertente esplorazione delle ipotesi. L’embrione di tale esplorazione lo individuai nella proposizione degli affreschi di Palazzo Schifanoia. Un gioco, un piacevole itinerario attraverso un giardino dell’amore dove erano permesse posture ed insinuazioni che a noi, figli della controriforma e del melodramma, potevano apparivano audaci. Probabilmente le origini scenografiche del riquadro erano molto distanti dall’esplorazione che il cliente si divertiva a percorrere ma ciò non toglieva il gusto per il confronto, per l’indagine. Venere coronata, Marte incatenato, i conigli, i cigni, gli strumenti musicali, le nudità prive di veli, tutto appariva naturale in un contesto scenografico della seconda metà del ‘400. Molto era andato perduto ma quel che restava era già sufficiente per ricostruire un impianto scenografico che di lì a poco si sarebbe evoluto in più direzioni. Mi rimase impresso il suo richiamo a Giovan Battista Giraldi Cinthio. La sua padronanza della materia, la profondità delle sue conoscenze. La scenografia, di tutto il ciclo dei mesi era così meravigliosamente ricca di richiami drammaturgici che il mio cliente si divertiva ad espormi fin nei minimi dettagli i diversi significati ad essi attribuibili, giungendo a confrontarli con l’essenzialità del teatro d’avanguardia. Pura follia? Eppure tutto aveva un suo nesso, un suo legame significativo: la magica metamorfosi della realtà come noi la percepiamo, in quella scenico teatrale.

 

Sant’ Andrea : l’antitesi.

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SANT’ANDREA

 

Sono trascorsi 48 anni da quando, per la prima volta, vidi le rovine della chiesa di Sant’Andrea. Ero un bambino di 11 anni e scoprivo la città in bicicletta. Quei ruderi erano impressionanti. Sembravano i resti di un gigante ferito a morte. Un Polifemo orribilmente inerte. Ciò che gli restava della sua storia erano poche cose, tenute su, più dalla mia immaginazione che da quel poco che mi sembrava ancora di vedere. Spesso torno in via “del Campo Sabbionaro”, come lo si chiamava una volta, e mi soffermo davanti a Sant’Andrea in compagnia di quel bambino di 11 anni. Gli racconto della storia del monastero, dell’anno mille, di come era la morfologia del territorio e poi del 1438, quando Papa Eugenio IV la consacrò durante il Concilio Ecumenico che si tenne in città. Gli racconto degli affreschi e dei quadri del Garofano e del Dossi, che dalla chiesa furono trasferiti alla Pinacoteca a Palazzo dei Diamanti, del loro significato e della loro importanza. Quel bambino mi ascolta in silenzio, annusando l’odore della storia della città di Ferrara, delle persone che l’anno vissuta, amandola in silenzio, come solo sanno amare quelli che sono abituati a vivere nel “borgo”. Un odore fatto di umidità, pane caldo e salame all’aglio. Parlare a quel bambino mi fa bene, anche se mi rende leggermente malinconico. Cerco di parlargli in italiano e confesso che spesso mi scappa qualche sostantivo in dialetto ferrarese, nonostante io non lo sia. Eppure partendo da quei ruderi, riesco a raccontare tanti avvenimenti, storie, eventi, collegati tra loro da tenerlo lì ad ascoltarmi per “molto” tempo. Non saprei quantificare quanto “molto”. Dipende dall’ispirazione del momento.

Così avvenne anni fa, quando durante un tour accompagnai per amicizia a Sant’Andrea, il giudice Cherniawsky e la sua consorte. Con incredibile saggezza intrinsecamente ebraica, da Buenos Aires erano giunti a Ferrara avendola eletta base strategica delle loro visite culturali nelle città d’arte limitrofe. Ci fermammo commentando davanti ai ruderi, ciò che appariva e ciò che oggettivamente era. Una dicotomia della realtà di cui lui, appartenente alla Corte Suprema, comprendeva e condivideva perfettamente i confini. Aveva da poco pubblicato due testi sul rapporto tra democrazia “inerte” e dittatura detta “del punto zero”, i cui termini surreali ci avevano avvicinati creando una solida amicizia. Trascorremmo “molto” tempo davanti Sant’Andrea. I temi storico/artistici si accavallavano per sfociare sui riscontri oggettivi del Ghetto Ebraico, del Castrum Bizantino, sul Miracolo del Preziosissimo Sangue e sulla storia dei Catari sterminati dalla Chiesa di Roma. Il giudice Cherniawsky , e non potrò mai dimenticarlo, mi fece notare come Ferrara continuava a dialogare con noi e con le nostre osservazioni, mostrandoci la profondità di quella sintesi minimalista “bressoniana”, che i suoi scorci riuscivano, e riescono ancora, a ricreare. Il giudice, partendo da Ferrara, mi lasciò le due pubblicazioni. Le inviai a Roma all’amico Italo Moretti, giornalista navigato che di quei temi conosceva le radici più nascoste. Le trovò interessanti. Il giudice Cherniawsky non è più e non conosco il destino della sua consorte. Lo posso solo supporre, data l’età.

Vedo le foto del 2014 che ho scattato di ciò che resta della chiesa. Narrano e narrano, e narrano ancora della città di Ferrara. Mi volto verso quel bambino di 11 anni ma è andato via con la sua bicicletta. La dicotomia tra passato e presente è stata rapidissima.

Sant’Andrea è per pochi turisti dotati di una sillabata visione cinematografica dell’essenza dell’immagine. Sono le evocazioni di un rudere abbandonato nel mezzo di un centro storico attivo. Antitesi di se stesse e di ciò che rappresentano. Già! Testimonianza oggettiva, dell’antitesi di una evocazione. Sorrido. Non so perché penso a Dario Fò e alla sua “Opera Buffa” a Bresson a Breton.

Mi dico che la città di Ferrara è per tutti ma dialoga con pochi.

Michelangelo Antonioni credo che non poteva non essere, che di Ferrara.

Ferrara, turisticamente, è ancora tutta da scoprire.

New york ed il “grid iron”

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New York

Siamo abituati a vedere New York attraverso gli stereotipi della spettacolarizzazione, e così ci perdiamo il meglio. Sono i dettagli che valorizzano il nostro percepire il tutto, nel suo insieme.

Quando mi chiedono di accompagnare qualcuno a fare shopping, io mi riposo. Fa tutto lui, o lei, o loro. A New York, la 5th avenue è fatta apposta. Quando, invece, mi chiedono di accompagnarli a fare delle foto, allora mi stanco ma mi diverto.

Le foto inserite non sono state fatte per raccontare ciò che è, o che appare, bensì come lo si vede, cioè come lo si sente. Spesso trasmetto al cliente questa visione prospettica dell’itinerario turistico e devo dire che il più delle volte, ne è coinvolto. La traduzione percettiva dell’oggetto in se,  affascina chiunque scopre per la prima volta tale oggetto. In questo caso un panorama, o uno scorcio della città.

La visione metafisica, ci pervade senza che ce ne rendiamo conto. Ciò vale per il ponte di Brooklyn di notte, come della Down Town che si affaccia sull’Hudson, come dello scorcio di Brooklyn visto da Manhattan.

Ma ci sono anche gli abitanti. Così è uscita la foto di un capo treno dal cappello piuttosto pittoresco. Ma siamo a New York e nulla meraviglia più di tanto. La gente va di fretta, non ha tempo. Corre.

Corre perché a New York è più facile correre, come in tutti gli altri stati degli USA.

Forse dipende dal primo piano urbanistico della città. In effetti nel 1811, quando ancora l’isola di Manhattan, era parzialmente occupata, con una visione avveniristica, si pensarono a 12 avenues e 152 streets. Il modello innovativo in se, era chiamato “grid iron”, maglia di strade che si incrociano ad angolo retto. Tale modello, fu poi trasferito a tutte le più importanti città USA.

Qualcuno, con molta buona fede, interpreta ideologicamente questo modello urbanistico, il “grid iron”, per l’appunto. Infatti asserisce che il modello di una maglia regolare di strade, produce una, non differenziazione, dei lotti in essa circoscritti, come forma di espressione della democrazia americana. Bé, sappiamo che gli americani sono dei grandi venditori, ma non fa male iniziare a conoscere questo colosso americano, anche da un punto di vista urbanistico. Chissà, forse è per questo che i turisti una volta compresa la logica urbanistica di New York, iniziano a divertirsi.

La storia di New York è interessante perché è sempre un passo avanti rispetto al resto del mondo, sia nel bene che nel male. In un prossimo post, si potrebbe raccontare qualcosa di diverso della grande mela. Qualche elemento che apra una visione diversa del percorso turistico in questa città. Magari che aiuti a spendere meglio quel che resta nel portafoglio.

antonio.greci@gmail.com

 

ARGENTINA. L’Orca non è mai assassina

 

Orca che spiaggia

 

Il trucco dell’Orca

Penisola di Valdes ( Rep. Argentina)

Il biologo Juan Martin Fabris, ci spiegava che l’Orca si avvicina alla spiaggia, facendo credere ai piccoli di otaria, di spiaggiare. In sostanza per attirare la loro attenzione. Poi, quando è ancora in parte in acqua, con un rapido scatto li afferra. E’interessante sapere che solo le Orche di sesso femminile sanno insegnare ai piccoli questo tipo di caccia. I maschi adulti la praticano solamente. Sul quotidiano argentino “Clarin”, pochi giorni fa, in una intervista ad un biologo argentino, si evidenziava che negli ultimi anni, fortunatamente, il numero delle orche di sesso femminile che ritornano alla “Penisola” è quasi raddoppiato. E’ palese che ciò è fondamentale per la salvaguardia della specie, considerando l’importanza che ha questo mammifero nella catena biologica.

Quando andavamo alla Penisola di Valdes, il turismo ancora non era così sviluppato come lo è attualmente. La Patagonia era ancora qualcosa di molto lontano e sconosciuto ed in effetti i mezzi di comunicazione  e le infrastrutture non erano quelle di oggi. L’istmo Ameghino, i golfi Nuevo e San José, l’Isla de los Pàjaros, Puerto Piramides, Punta Delgada, Caleta Vàldes, Punta Norte, erano luoghi veramente ameni. Eppure vi erano turisti coraggiosi con macchine fotografiche, da Maggio a Dicembre, nel periodo della riproduzione. Inglesi, francesi, americani, qualche raro italiano .

L’Argentina l’ho conosciuta in parte volando. E’ così grande e bella che non puoi capirlo se non l’attraversi da Nord a Sud e da Est ad Ovest, e lo puoi fare solo volando, altrimenti preparati ad un bel mal di schiena. Accompagnare un gruppo di turisti diventa una costante scoperta di ciò che eravamo e siamo. Vi sono fossili giganteschi perfettamente conservati che ci raccontano la nostra storia nei minimi particolari. Vi sono colline colorate, montagne azzurre, deserti e giungle. Cascate impossibili ed un fiume, il Rio Paranà Iguazù, che per 2000 chilometri non fa che stupirti ad ogni curva. Tutto ciò ti lascia basito anche quando accompagni un gruppo a vederle. In conclusione c’è talmente tanta natura da godere che, onestamente, l’hi pad, lo smart phone, ed il tablet, li puoi lasciare tranquillamente a casa. A che servono?

 

Via Ghisiglieri, Ferrara.

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4 luglio 2014

Da lontano risalendo una lieve pendenza arrivi al volto di via Ghisiglieri,  angolo via Coperta. Secondo Gerolamo Melchiorri il nome potrebbe avere distinte origini. Ciò che le accomuna è l’ipotesi di una distorsione linguistica di “Consiglieri o Cunsteri”. Sì perché, allora  a poca distanza, dove era l’isola della Lattuga vi risiedeva il vecchio palazzo della Ragione. Comunque fu abitata dalla famiglia Ghisiglieri nel XV sec. Loro però erano di Bologna, altra razza. Comunque era anche detta Strada di Santa Apollinare dalla chiesa parrocchiale riedificata in questa via fino dal 1105, soppressa nel 1798, poi convertita in civile abitazione. Ma la storia continua e la via prende altro nome: “via Romiti”, dagli Eremiti, o frati della Penitenza di Gesù Nazareno, detti gli Scalzetti che ivi dimorarono.  Il volto era detto dei Marocelli, famiglia di cui Bartolomeo fu consigliere di Giustizia del Duca Ercole I° d’Este (XV sec.). Nell’800 cambiò ancora nome in “Volto Scutellari”, da Maurelio Scutellari a cui la casa apparteneva.

Incrocio una bella ragazza in bicicletta. La vorrei fermare per dirglielo, tanto che male fa, sono un inguaribile sfrontato per natura, poi preferisco non perdere l’attimo della naturale spontaneità del gesto e la fotografo. Passa, non mi guarda ma intuisce che l’ho notata e fotografata. Cammino in silenzio, verso il volto. respiro profondamente. Qui accompagnai un giornalista televisivo venezuelano con la moglie e il figlio. Stregati dal fascino del luogo non parlavano. Ammutoliti passammo sotto il volto.  Giunti nella via della Morte, il giornalista ruppe il silenzio, “Appaiono tutte uguali mentre sono una diversa dall’altra. Una più bella dell’altra”.  Sono quasi al volto, sulla sinistra una vecchietta dal passo incerto, mi precede. Indossa un grembiulino domestico. Dal muro di cinta i rampicanti colorano di verde l’apoteosi del cotto ferrarese. Più avanti, due giovani stringendosi l’uno alla’altro, si baciano. Quindi si staccano riprendendo il cammino tenendosi per mano. Ora si sono divisi. Non sono distanti da me. Si vede; sono innamorati. E come non puoi esserlo in via Ghisiglieri a Ferrara..

BENVENUTI. Chi sono e cosa faccio.

 

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Mi chiamo Antonio Greci e sono patentato dall’anno 1990 presso la Provincia di Ferrara, Guida Turistica per l’Emilia Romagna e Accompagnatore Turistico per tutto il mondo. Sono anche Guest relations officer per agenzie private e receptionist in un albergo del centro città.

Parlo le lingue: italiano, spagnolo, inglese, francese. Ho viaggiato per molti anni in tutto il mondo. Ho accompagnato gruppi ovunque. Ho avuto clienti di tutti i generi. Per me il viaggio in compagnia ha una dimensione del tutto particolare perché si traduce in una relazione multiculturale con il gruppo od i singoli clienti. Si tratti di visitare un monumento storico artistico o una fabbrica di auto di lusso, il cliente rimane il centro della relazione.

Sono stato per anni consulente commerciale, coach sulla comunicazione ed ho collaborato con i migliori studi di ricerca sulla comunicazione italiani, inglesi, tedeschi, spagnoli e statunitensi. Ma i titoli non servono se non si sa usare la propria esperienza perché il cliente si senta sempre a suo agio.

L’unica regola valida è abbandonare qualsiasi distorsione percettiva che riduca o elimini aree di informazioni utili, perché il cliente goda a proprio modo, il viaggio. Ogni elemento di un gruppo ha la propria personalità. Ogni personalità può essere valorizzata perché riconosca la bellezza delle proprie scoperte durante tutto il periodo del viaggio. Psicologia, comunicazione, cultura generale, esperienza. Il cliente recepisce sempre quando chi l’accompagna sarà sempre e comunque una risorsa.

Benvenuti nel mio blog.

Antonio Greci

antonio.greci@gmail.com

https://ferraraguida.wordpress.com